Tre mesi che non scrivo nulla:
riflettevo sul fatto che raggiungere un obiettivo per cui vale la pena di farsi delle pacche sulle spalle può renderti felice e svuotarti allo stesso tempo.
Il prodotto finito per te che gli hai dedicato pensieri su pensieri e azioni su azioni ti sembra minuscolo su tutti i fronti. Dentro c’è talmente tanto che ti sembra impossibile che non scoppi. E invece è là. E non scoppia mica. E contiene proprio tutto.
E se lo tiene stretto, porca paletta.
Ci vuole un pò ad accettare l’idea che la progettazione e la realizzazione siano finite in un oggetto finito.
Ecco perché adoro quelli che vengono chiamati “fallimenti”.
In un progetto fallimentare c’è sempre qualcosa di progettabile, di perseguibile, di possibile e non finisce proprio niente.
Niente finisce dentro nulla, niente si concretizza, o solo quel poco che basta a darti l’illusione di essere sulla strada giusta per capire come imboccare meglio quella sbagliata.
Che è un dramma e una libidine.
Forse è un problema estetico e di dimensioni sproporzionate fra i pensieri, le azioni e quello che concretizzi.
Facciamo così: a dipingere l’immensità del cielo di rosso bastano un paio di occhiali da sole. Meglio piccoli.
Così stavolta il prodotto è decisamente più infinito della progettazione.
E invece no, ancora una volta i vermicelli aglio e olio battono anche questa.